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Fertilità età dipendente

Tra le cause più frequenti di infertilità, oggi, quella probabilmente più frequente è una condizione che potremmo denominare “infertilità fisiologica età dipendente”. Poche sono le donne e le coppie consapevoli di questa realtà ed ancora molto limitate ed insufficienti sono le iniziative volte alla diffusione delle conoscenze sui concetti fondamentali del problema.

I dati Istat, non molto diversi dai dati pubblicati in tutti gli altri Paesi, dimostrano che l’età alla prima gravidanza delle nostre donne si è innalzata. Le ragioni alla base di questo fenomeno sono molteplici, ma a grandi linee sono legate all’aumento dell’istruzione e dell’occupazione femminile, ai crescenti obiettivi di carriera, alle strategie contraccettive a disposizione, alla scarsità di incentivi sociali a sostegno della genitorialità e all’idea diffusa secondo cui la Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) possa compensare il naturale declino della fertilità con l’invecchiamento.
Infatti, l’età media delle donne che si rivolgono per un trattamento di fecondazione assistita di coppia è aumentata; nel 2005 solo il 20% di donne aveva superato i 40 anni, mentre nel 2016 la percentuale è quasi raddoppiata con una età media delle donne che si rivolgono dai ginecologi per tali problemi è oggi di quasi 37 anni, epoca in cui è già iniziato il declino della capacità riproduttiva di qualsiasi donna.

Studi di popolazione su numeri enormi di donne hanno dimostrato in maniera inequivocabile il rapporto che esiste tra età e fertilità nel sesso femminile, indicando anche che il picco della fertilità femminile si attesta tra i 18 e i 25 anni e inizia a decrescere dopo i 35 anni, fino a terminare definitivamente addirittura 10 anni prima della comparsa della menopausa della donna. Questo significa che, salvo casi sporadici in cui l’età ritardata alla menopausa concederà qualche possibilità di concepimento anche a donne di 42-43 anni, il 90% delle donne italiane, destinate ad andare in menopausa mediamente a 51 anni, perderà la possibilità di concepire tra i 40 e i 41 anni. Una donna su 10 anticiperà ancora prima questo momento ed una su 100, destinata alla menopausa precoce prima dei 40 anni, avrà esaurito ogni chance riproduttiva già intorno ai 30 anni.

Questi numeri, che sconvolgono ogni volta le donne a cui vengono esposti, dipendono da un fattore biologico estremamente semplice: l’evoluzione sociale non è progredita proporzionalmente all’evoluzione biologica della donna che presenta, ancora oggi, una ottimale e pregevole condizione per concepire in età giovanile. In questo intervengono delle differenze sostanziali esistenti tra uomini e donne sul versante riproduttivo. Mentre gli uomini possono essere in grado, salvo patologie intervenute, di produrre nuovi spermatozoi, i gameti femminili, cioè le cellule uovo contenute nelle ovaie, smettono di essere prodotti addirittura durante la vita intrauterina.

Per questa ragione, i determinanti biologici del declino della fertilità femminile associato all’età dipendono tanto dal mancato rinnovo del pool degli ovociti durante la vita, quanto dalla diminuzione progressiva del numero dei follicoli e, conseguentemente, degli ovociti subito dopo la nascita. Già a 30 anni nelle ovaie rimane non più del 15% del patrimonio follicolare presente alla nascita e a 40 anni non rimane più del 5 % del numero iniziale.
Come se non bastasse, insieme alla riduzione del numero, assistiamo ad una diminuzione progressiva della qualità degli ovociti, soprattutto dal punto di vista genetico, a causa di una serie di anomalie dei numerosi processi coinvolti nella fisiologia cellulare.

L’anomalia più frequente che ne risulta, legata alla cattiva qualità ovocitaria età dipendente, è l’aneuploidia che consiste nella presenza di un numero errato di cromosomi negli embrioni così generati. Il risultato clinico di questo fenomeno biologico è, da un lato, la percentuale di embrioni con anomalie genetiche, che sale dal 35% nelle donne di età inferiore ai 35 anni all’80% sopra i 42 anni e dall’altro la riduzione del tasso di concepimento spontaneo, di gravidanza portata normalmente a termine e di bambino nato vivo, insieme ad un aumento progressivo del tasso di abortività spontanea (inferiore al 10% all’età di 20 anni, mentre a 42 anni è pari al 50% circa).

Contrariamente a quanto pensi la maggior parte della popolazione, la soluzione a questo fenomeno inevitabile non è la PMA e non può esserlo. Se guardiamo ai dati pubblicati dal Ministero della Salute, infatti, i tassi di successo dei trattamenti di fecondazione assistita (FIVET e ICSI) decrescono in maniera esponenziale all’aumentare dell’età della donna, così che se il tasso di gravidanza cumulativa per ciclo iniziato è del 37% prima dei 34 anni, questo scende al 29% tra i 34 e i 39 anni ed al 15% tra 40 e 42 anni, fino al 6% dopo i 42 anni. Di tutte queste gravidanze iniziate più del 53%, dopo i 43 anni, avrà un esito avverso a causa di aborto così che, a conti fatti, una donna che inizia un trattamento di PMA a 42 anni ha circa il 3% di possibilità di portare a termine una gravidanza con bambino nato vivo. Tra i 40 e i 42 anni questa possibilità sarà di circa il 9%, mentre tra i 35 e i 39 anni tale percentuale passa a circa il 20%.

Ma quanti medici di base parlano alle proprie pazienti di queste percentuali di successo? Quante coppie immaginano una realtà del genere quando decidono di avviare un percorso di PMA o quando scelgono di ritardare la gravidanza per creare prima tutta l’infrastruttura familiare necessaria al proprio progetto di vita? Così come sono scarsamente conosciuti i rischi materni legati ad una gravidanza in età avanzata, soprattutto se ottenuta dopo donazione di uova (fecondazione eterologa o ovodonazione). Molte coppie, di fronte ad un counselling onesto che illustra i dati di cui si è parlato, prospettano quanto letto sui giornali di gossip delle gravidanze portate a termine da personaggi famosi in età avanzata. Quanti medici hanno il coraggio di dire a queste coppie che le gravidanze sopra i 45 anni espongono la donna, anche perfettamente in salute e senza patologie croniche preesistenti, ad un rischio di morte che è 4.3 volte superiore alle donne under 35 e che questo rischio è 2.6 volte maggiore anche nelle donne tra i 40 e i 44 anni?

Questi dati, tratti da un importante studio pubblicato sul British Journal of Obstetrics and Gynecology nel 2014, dicono anche che il rischio di andare incontro a complicanze gravi è 3.5 volte maggiore sopra i 45 anni e 2.2 volte sopra i 40; questi rischi sono: ipertensione in gravidanza, eclampsia, diabete, placentazione anomala, emorragia post-partum. Complicanze possibili anche nelle gravidanze spontanee in donne giovani, ma che vedono nella tecnica di ovodonazione e nell’età avanzata due principali fattori di rischio aggiuntivi, che ne fanno aumentare incidenza e pericolosità. Per esperienza professionale, molto poche sono le donne e le coppie consapevoli di questa realtà ed ancora più scarse sono le iniziative volte alla diffusione di conoscenze su tali concetti fondamentali.

La maternità ed in generale la genitorialità sono bisogni fisiologici del genere umano che prima o poi possono manifestarsi nella vita di una coppia imprimendo scelte ed investimenti emotivi ed economici. Anche dopo il counselling più oggettivo sul rischio di insuccesso, sui costi, sui rischi in caso di eventuale successo dopo tecnica di ovodonazione, sono molte di più le coppie che decidono di intraprendere comunque il percorso rispetto a quelle che rinunciano senza neanche averci provato, perché entrano in campo motivazioni intense e tenaci, spesso notevolmente più forti della consapevolezza delle possibilità di insuccesso.

Per questo motivo si ritiene che sia necessario ed utile educare le nuove generazioni sin dalle età giovanile, affinché si cerchi, per tempo, di prefigurare una soluzione alternativa che possa in qualche modo prevenire l’inevitabile diagnosi di “infertilità fisiologica” a 40 anni.

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