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Amenorrea primitiva e sindromi rare: la sindrome di Rokitansky

La presenza di una amenorrea primitiva, cioè l’assenza della comparsa del menarca, induce la famiglia dell’adolescente a preoccuparsi circa il ritardo della comparsa della prima mestruazione. Oltre alle possibili e più frequenti alterazioni funzionali della secrezione ormonale dell’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide-gonadi, più raramente è plausibile che si verifichi una alterazione della formazione dell’utero e della vagina, intesa come malformazione incompleta o assente di tali organi, associati o meno ad una vera e propria disgenesia gonadica. Il termine disgenesia gonadica viene utilizzato per indicare una serie di malattie rare caratterizzate da disordini multipli dello sviluppo del sistema riproduttivo.

Oggi vorrei parlarvi della Sindrome di Rokitansky, anche nota con un nome più lungo e complicato, Sindrome di Mayer-Rokitansky-Kuster-Hauser o MRKH; si tratta di una condizione rara in cui l’apparato genitale interno si sviluppa in maniera non corretta durante la vita fetale. In particolare, viene a mancare completamente o parzialmente lo sviluppo dell’utero e della vagina. Risultano invece normali, in genere, le ovaie. Possono, altresì, essere presenti anche alterazioni a carico di altri organi ed apparati: le malformazioni più frequentemente associate riguardano l’apparato urinario (30% circa) e muscolo-scheletrico (12% dei casi). Per un lungo periodo, la sindrome è stata considerata una anomalia sporadica, ma un crescente numero di casi familiari suggerisce oggi un’ipotesi genetica; al momento attuale molti geni vengono studiati come possibili responsabili o corresponsabili di questa sindrome, ma non è ancora stata individuata una causa certa. Nei casi familiari, la sindrome sembra trasmettersi con modalità autosomica dominante a penetranza incompleta ed espressività variabile. Questo suggerisce il coinvolgimento di mutazioni in un gene dello sviluppo o di una anomalia cromosomica di piccole dimensioni. Talvolta, la diagnosi viene fatta alla nascita, soprattutto se presente in associazione ad una malformazione urinaria, ma molto più spesso si arriva a sospettarla solo durante la tarda pubertà quando, dopo il normale sviluppo dei caratteri sessuali secondari (seno, peluria pubica, peluria ascellare) non si assiste alla comparsa della prima mestruazione (menarca). Ciò si determina perché la produzione di ormoni, da parte delle ovaie, è del tutto normale, mentre è compromessa la possibilità di mestruare ogni mese e di portare a termine una gravidanza a seguito dell’assenza, completa o parziale, dell’utero e della vagina.
La sola osservazione dei genitali esterni, sia alla nascita che durante l’infanzia, difficilmente permette di sospettare la presenza di questa condizione, dal momento che anche i genitali esterni hanno un aspetto del tutto normale. Solo una più accurata visita ginecologica potrebbe, infatti, far sospettare in questa fase della vita uno sviluppo assente o incompleto della vagina. In genere, una volta eseguita un’ecografia pelvica alla ricerca di possibili cause per l’assenza della prima mestruazione, si è già in grado di sospettare la condizione, che richiede poi uno studio più accurato, in genere mediante una risonanza magnetica nucleare, per la corretta definizione anatomica degli organi interni (presenza di un utero, presenza o meno della vagina e la posizione delle ovaie). Infatti, essa è caratterizzata da aplasia congenita dell’utero e della porzione superiore (2/3) della vagina in donne che mostrano uno sviluppo normale dei caratteri sessuali secondari e un cariotipo normale – 46, XX – in assenza di anomalie cromosomiche visibili. I segni clinici della sindrome MRKH si sovrappongono a quelli di altre sindromi o associazioni e per questo richiedono un’accurata definizione. La MRKH colpisce almeno una donna su 5000 circa e può essere isolata (tipo 1) ma, più frequentemente, si associa a difetti renali, vertebrali e, più raramente, dell’udito e del cuore (MRKH tipo 2).

Come si cura

L’unico intervento possibile che può essere proposto, al momento, per il trattamento dell’aplasia della vagina è la ricostituzione del canale vaginale che consiste nella creazione di una neo-vagina al fine di consentire i rapporti sessuali e permetterne una vita sessuale soddisfacente. La ricostituzione può essere ottenuta per via chirurgica o non chirurgica, a seconda delle condizioni di partenza. Altresì, risulta essenziale nelle giovani donne con MRKH, dal momento che lo stress psicologico è assai significativo, richiedere un sostegno psicologico per le pazienti ed i familiari prima e durante il trattamento.

Ricostruzione non chirurgica

Se è presente un abbozzo di vagina di almeno 1,5-2 centimetri si sceglie un approccio conservativo basato sull’utilizzo di espansori che, con il tempo, ne permettono l’allungamento. L’utilizzo di espansori per questa sindrome rispetta il principio di gradualità terapeutica in quanto si opta per una espansione ‘meccanica’ prima di ricorrere all’intervento chirurgico. La tecnica, che prevede l’impiego degli espansori, suggerisce tempi di intervento in età adolescenziale per ottenere il successo necessario per evitare l’intervento chirurgico. Di conseguenza si tratta di un approccio terapeutico molto delicato che deve essere accompagnato dalla massima discrezione, cura ed attenzione alla persona nel suo insieme, alla sua sensibilità che non dev’essere ferita in alcun modo. Né si può immaginare di forzare l’intervento terapeutico laddove la paziente, pur accompagnata con attenzione da genitori, medici e psicologi, mostrasse di voler rifiutare l’intervento per una invincibile riluttanza nei confronti delle manovre necessarie o per un’immaturità psicologica ad affrontare le procedure previste.

Ricostruzione chirurgica

Se invece la vagina manca del tutto bisogna ricostruirla ex novo. Per farlo sono possibili diverse tecniche chirurgiche, ma il punto critico è sempre stato il rivestimento del canale neoformato, visto che la mucosa vaginale naturale ha alcune caratteristiche molto specifiche, come una certa elasticità e un certo grado di lubrificazione, difficili da riprodurre. L’intervento chirurgico, oltre ai rischi legati all’impianto e all’attecchimento del tessuto, prelevato da altri organi oppure da colture di cellule della paziente, indubbiamente comporta la formazione di cicatrici che possono provocare ripercussioni funzionali per l’elasticità e la sensibilità tipica della cavità vaginale. In assenza di utero o se l’utero è troppo piccolo o malformato, l’intervento di ricostituzione della vagina non risolve il problema dell’infertilità.

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